Care colleghe e cari colleghi,
l’assemblea annuale degli iscritti cade in un momento particolare per tutti noi caratterizzato dalla imminente fine del mandato di questo Consiglio dell’Ordine. Sono trascorsi quasi tre anni da quando, grazie al vostro consenso e alla vostra fiducia, iniziammo un lavoro che sapevamo difficile ed irto di ostacoli. Quello che ci preoccupava era da un lato il peso dell’eredità del primo consiglio, fatta di competenze e di esperienza e dall’altro la consapevolezza di dover affrontare un percorso di crescita e di maturazione della categoria.
Oggi sarebbe facile dire che quel percorso lo abbiamo intrapreso senza intralci, senza diffidenze, senza paure, le nostre comprensibili paure. Sarebbe per noi un atto di presunzione affermare con sufficienza che eravamo convinti di farcela. Ancora oggi non siamo convinti di esserci riusciti ma siamo consapevoli di aver fatto tutto quello che era nelle nostre possibilità per riuscirci.
L’Ordine dei Giornalisti della Basilicata, l’Ordine dai piccoli numeri, ha tentato di uscire dalla logica burocratica per affermarsi quale punto di riferimento di una categoria che oggi più che mai ha fatto passi avanti sul piano della correttezza, della deontologia, della formazione professionale. Non si tratta di valutazioni estemporanee ma ancorate alla sostanza dei fatti. E i fatti dicono che in questi anni i giornalisti lucani non solo sono aumentati dal punto di vista numerico ma si sono distinti per capacità, qualità, forza delle loro idee, rispetto di quelle altrui. Una capacità e una qualità professionale che hanno espresso anche in momenti difficili per la vita di questa regione. Non a caso ieri l’Ordine dei Giornalisti è stato co-protagonista con il Co.Re.Com. dell’iniziativa di Scanzano, dedicata alla Comunicazione di crisi. Il sottotitolo del convegno era giustamente Il ruolo e l’impegno dei mass media. Un ruolo ed un impegno che nei quindici giorni della rivolta di Scanzano non solo si sono concretizzati in una presenza massiccia ma si sono sostanziati in una qualità professionale indiscussa.
Senza alcun dubbio possiamo dire che i giorni di Scanzano sono stati davvero i giorni del servizio pubblico inteso come servizio ad una comunità che con fierezza e senso di responsabilità proclamava con dignità e civiltà le sue ragioni. E i mass media, senza differenza di appartenenza e di ideologie, sono riusciti a dare il quadro completo di quello che accadeva con la consapevolezza che il futuro di una comunità è un bene che va salvaguardato. E quanto più la comunicazione è corretta, quanto più riesce ad essere punto di collegamento tra cittadini e istituzioni, tanto più si ha la possibilità di avere risposte in sintonia con i desideri e le speranze di un popolo. E quando parliamo di ruolo ed impegno dei mass media parliamo di tutti i mass media, nessuno escluso.
Nel caso di Scanzano la condivisione di una battaglia non ha coinciso con una logica di parte ma è diventata sintesi di una informazione che ha voluto e saputo trovare quella qualità del racconto che si è espressa nella competenza, nella chiarezza della cronaca, senza mai travalicare i confini della correttezza.
Il caso Scanzano non è che un episodio dei tanti accaduti in questi anni che hanno visto i giornalisti lucani diventare portatori di un vissuto reale, interpreti fedeli di lotte di popolo nate per affermare il diritto al futuro e non per coprire alibi di gruppo o interessi di lobbie.
Ci sembrava doveroso aprire questa relazione parlando di Scanzano ma, lo abbiamo fatto anche perché siamo convinti che oggi più che mai bisogna tornare a raccontare, ad essere testimoni degli eventi nel rispetto di quel diritto di cronaca sempre più calpestato. Per questo l’Ordine dei Giornalisti che qualcuno vuole confinare in una dimensione strettamente burocratica legata alla natura stessa di un ente di diritto pubblico non economico non ha voluto dimenticare la ragion d’essere di una libertà di stampa che è sancita dalla e nella Costituzione e che è il sale vero della democrazia. Oggi è tra noi il Vice Presidente Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, Domenico Falco, che ringrazio per aver voluto sacrificare una domenica alla famiglia partecipando alla nostra assemblea. La sua presenza, come quella negli anni passati di Lorenzo Del Boca e di Vittorio Roidi, non è casuale.
Siamo convinti infatti che l’Ordine Nazionale, in questi anni, si sia contraddistinto per un’attività improntata in modo specifico alla formazione dei giornalisti.
È della formazione che abbiamo bisogno per raccogliere le sfide di un mestiere che deve fare i conti con l’evoluzione del mercato del lavoro e con la presenza di quelle tecnologie che rappresentano croce e delizia della professione. Delizia perché l’agevolano, croce se ad esse viene affidata l’essenza stessa della professione derogando dalla formazione e dalla qualità della proposta giornalistica.
Sì alle nuove tecnologie, no alla consacrazione totemica di esse.
Qualche giorno fa in un dibattito promosso dall’USSI – l’Unione della Stampa Sportiva - in occasione della presentazione di un libro del collega della RAI di Napoli - Salvatore Biazzo - ebbi a ricordare che lo sforzo di questi anni per noi è stato improntato essenzialmente all’affermazione della formazione come possibilità per poter esprimere al meglio le nostre idee e per poter quotidianamente fare bene il nostro mestiere. Federico Guiglia, l’allievo prediletto di Indro Montanelli, con il quale intrattengo rapporti di amicizia, mi ha regalato il suo ultimo libro "Il ponte più lungo. Che cosa unisce l’Italia all’America Latina". Un agile volumetto che raccoglie alcune lezioni sul giornalismo tenute in Uruguay da Guiglia che torna spesso in America Latina essendo nato a Montevideo da padre italiano e madre uruguayana. Nella dedica che mi ha fatto ha scritto: "Al Presidente di un Ordine, a differenza dell’Italia, da abolire".
Una dedica ovviamente ironica alla quale ho apportato metaforicamente una modifica: "Non da abolire ma da riformare".
Una riforma che è già iniziata ed è iniziata proprio con la filosofia dell’Ordine Nazionale guidato da Lorenzo Del Boca, Vittorio Roidi e Mimmo Falco. Una riforma che fa perno sulla formazione continua coniugando le competenze alla capacità di trasmetterle ad un largo pubblico.
In una delle lezioni all’Università di Montevideo intitolata "Tra giornalismo e giornalismi" Federico Guiglia ha sostenuto che il giornalista è una persona curiosa ma solo di rado le persone curiose diventano giornalisti. Perché questo è il mestiere più bello del mondo, ma è un mestiere che s’impara.
Il giornalismo non è una monarchia in cui si ereditano il ruolo e il riconoscimento, e il talento bisogna metterlo continuamente alla prova. Non si è giornalisti per sempre: chi ama questa professione - aggiunge Guiglia – deve cercare di dare il meglio di sé ogni giorno e giorno per giorno, perché il giornalista è un narratore, è il narratore dell’attualità.
Ma in Italia per cominciare bisogna per forza fare pratica in un giornale, in una radio, in una televisione, in un qualunque mezzo d’informazione. Diciotto mesi di pratica e poi un esame finale a Roma. È l’esame di stato che certifica l’inizio della professione e dà la possibilità di ottenere la prima e sola tessera che un giornalista dovrebbe avere: quella di iscrizione all’Albo, rilasciata dall’Ordine Nazionale della categoria.
In realtà c’è anche un’altra strada per chi sogna questo lavoro, quella delle Scuole di Giornalismo.
Con gli anni queste scuole legalmente riconosciute si sono per fortuna moltiplicate, offrendo delle opportunità ai giovani che non abitano nelle metropoli, che non sono figli di giornalisti, che non hanno famiglie benestanti alle spalle, né Santi in Paradiso per la pura e semplice ma imprescindibile occasione d’incominciare in una redazione, di far vedere se sono capaci e quanto, di narrare il proprio tempo.
È proprio per questo, per ottenere questi risultati, per aprire le porte a quanti scommettono ancora su questo mestiere, caparbiamente, anche tra scetticismo e diffidenze, da tre anni lavoriamo per la realizzazione di una Scuola di Giornalismo. Debbo dire che abbiamo trovato l’illuminata disponibilità del Rettore dell’Università e del Presidente della Giunta che hanno sposato questa nostra idea con convinzione. Oggi possiamo dire di essere vicinissimi al risultato finale.
La Scuola di Giornalismo della Basilicata sta per nascere. Noi ci batteremo affinché venga costituita. Ma possiamo dire, sin da ora certezza, che l’Ordine Nazionale ha verificato non solo l’entusiasmo con il quale siamo andati avanti ma anche la concretezza stessa del progetto. Un progetto di Master biennale candidato anche al Programma transnazionale Erasmus Mundus e presentato ufficialmente due mesi fa all’Ordine Nazionale, dopo numerosi incontri interlocutori, sia a Roma che a Potenza. Ricordo a tal proposito la visita fatta in Basilicata da Silvano Rizza, fondatore di diverse Scuole di Giornalismo e Direttore per lungo tempo di quella di Urbino. Rizza ci seguirà passo dopo passo nella organizzazione della scuola che, speriamo, possa partire con il prossimo anno accademico.
Una scuola che intitoleremo e, penso siate tutti d’accordo, a Raffaele Ciriello, il fotoreporter morto a Ramallah mentre documentava gli scontri tra israeliani e palestinesi e che è oggi non solo nella nostra memoria ma anche nei nostri elenchi. L’anno scorso, lo ricorderete, l’Ordine dei Giornalisti ha consegnato alla famiglia un tesserino di iscrizione alla memoria nell’Elenco Professionisti dell’Ordine dei Giornalisti della Basilicata, il tesserino del Giornalista Professionista Raffaele Ciriello. Un atto che non abbiamo voluto fare in modo retorico quasi il tesserino avesse il significato di una medaglia alla memoria, abbiamo invece voluto affermare, proprio con quell’atto, la consapevolezza di trovarci di fronte ad un vero Giornalista anche se non iscritto all’Albo. Un esempio di cronista per tutti coloro che vogliono diventare cronisti e che credono in un giornalismo corretto ma che non dimenticano la forza dell’inchiesta e del servizio sul campo realizzato, come in quel caso, anche a costo della vita.
Raffaele Ciriello fa parte di una lunga schiera di giornalisti come Ilaria Alpi, Maria Grazia Cutuli che hanno sacrificato la vita pur di essere testimoni fedeli di eventi, raccontatori coraggiosi di storie di persone, di fatti ed avvenimenti, molti dei quali hanno sconvolto il mondo. Per questo il nostro pensiero va innanzitutto rivolto a loro e anche a tutti quei colleghi, che in questi mesi continuano a rischiare giorno dopo giorno la loro vita pur di documentare con correttezza e approfondimento, senza reticenza, i diversi conflitti che insanguinano la terra.
Ma torniamo al nostro Ordine e all’attività svolta in questi tre anni.
I numeri documentano in modo inequivocabile come la nostra categoria abbia avuto uno sviluppo considerevole. Nel 2000 in Basilicata c’erano 243 Pubblicisti e 48 Professionisti, ora, e i dati si riferiscono al 20 febbraio, il nostro ordine può contare 71 Professionisti e ben 310 Pubblicisti ai quali vanno aggiunti coloro che sono iscritti al Registro dei Praticanti e all’Elenco Speciale. Si potrà obiettare che il numero degli iscritti aumenta ma che il mercato del lavoro è sempre lo stesso. Con franchezza penso che non sia così perché le opportunità sono aumentate, il lavoro del nostro Sindacato è stato proficuo e, nel contempo, nella terra che era alla ricerca di un quotidiano, di quotidiani ce ne sono ben tre ai quali si aggiungono numerose testate, anche on line, e periodici nati negli ultimi tempi. L’importante è che alla nascita non faccia seguito una prematura scomparsa. Un messaggio che rivolgiamo soprattutto agli editori, spesso preda di facili entusiasmi che generano altri facili entusiasmi. Una catena di facili entusiasmi che facilmente si conclude con una generale delusione. Ma i numeri non vanno visti solo in un’ottica di permanente pessimismo quando li si rapporta al mercato del lavoro, perché è pur vero che il nostro mercato del lavoro è ancora debole ma, è anche vero che grazie a questo mercato del lavoro qualcosa è nato e qualcosa sta crescendo.
La stessa idea della scuola legata ad un progetto innovativo, quello che oltrepassa la singola laurea e apre a lauree anche in settori scientifici, conferma come l’Ordine sia consapevole della esigenza di guardare ad un mercato più vasto. Non si può parlare di globalismo senza offrire possibilità globali.
Una volta il Presidente di uno degli ordini più rappresentativi e più numerosi d’Italia, dopo aver appreso che la Basilicata si stava candidando ad avere la sua scuola ebbe a dirmi: "Ma se il problema è quello di far accedere qualche laureato lucano alle nostre scuole, vi veniamo incontro".
Non vi nascondo che restai decisamente perplesso e forse anche disgustato ma ebbi la prontezza di rispondere. I laureati lucani già trovano spazio nelle scuole dell’Ordine e non perché sono stati raccomandati ma perché hanno dimostrato di competere con gli altri superando le preselezioni con alti voti. Il problema – aggiunsi - è inverso, nella Scuola di Basilicata abbiamo intenzione di accogliere laureati provenienti da tutta Italia e perché no da altri paesi europei, dal momento che tentiamo di fare una struttura che guardi all’evoluzione della professione e non sia il segno di una preoccupante involuzione".
Per questo la nostra scuola dovrà guardare alla multimedialità, al giornalismo on line, al giornalismo scientifico, al giornalismo della pubblica amministrazione, preparando professionisti del domani consapevoli che il loro futuro non ha una logica territoriale ma va ad inserirsi in una dimensione globale che è propria della comunicazione. Ma non vogliamo sottrarci ad un'altra obiezione che è stata posta da alcuni colleghi. L’Ordine pensa ad una scuola per i nuovi giornalisti e non pensa alla formazione continua di quelli che già lo sono. Innanzitutto dobbiamo ricordare che la formazione continua è stata già un obiettivo perseguito e raggiunto dall’Associazione della Stampa con il Formedia, nato proprio per questo. Ma siamo convinti che attorno alla scuola possa nascere anche un movimento per la formazione continua che, basandosi su esperienze consolidate come quelle sopra accennate, possa specificatamente interessarsi dell’aggiornamento. In tale ottica non va dimenticato il ruolo del Co.Re.Com. che insieme all’Ordine dei Giornalisti, nel rispetto ovviamente dei ruoli, ha organizzato una serie di iniziative su temi importanti da quello della deontologia e della privacy a quelli riguardanti la tutela dei minori e dei soggetti deboli. Oggi la comunicazione è un campo così vasto che non si può pensare alla semplice ed inutile difesa di singoli fazzoletti di competenza ma, bisogna invece fare del dialogo e del confronto sui temi il terreno dove esaltare proprio le competenze.
Del resto quanto fatto dall’Ordine Nazionale sul piano del riconoscimento della valenza professionale degli addetti agli Uffici Stampa che all’atto dell’entrata in vigore della Legge 150 erano già in strutture di questo tipo, dà il senso del grande salto in avanti fatto dalla categoria che, bandendo la logica di casta, ha inteso aprirsi all’esterno promuovendo corsi gratuiti d’intesa con il FORMEZ che hanno permesso a molti addetti stampa di diventare pubblicisti. Diventare pubblicisti per avere un riconoscimento giuridico e professionale ed anche una tutela per un lavoro delicato che è quello di chi ha compiti nelle strutture di comunicazione degli enti pubblici. Ma la sintonia tra l’Ordine Nazionale e l’Ordine Regionale della Basilicata si è concretizzata anche attraverso la condivisione di una comune filosofia per il riconoscimento del praticantato free-lance. Caro Vice Presidente qualche anno fa ci sentivamo soli dinanzi ad una scelta che consideravamo giusta ed irrinunciabile. Chi vive di giornalismo è giornalista dicevamo con convinzione ma, non ti nascondo, che le resistenze erano molteplici e i ma non si limitavano solo ad obiezioni di sostanza. Oggi, grazie alla delibera dell’Ordine Nazionale, alcune nostre decisioni, anche precedenti, hanno trovato una forte conferma giuridica. Due nostri colleghi sono praticanti free-lance, hanno i loro tutor, e presto faranno gli esami per diventare professionisti. Ma la sintonia con l’Ordine Nazionale in questi anni si è anche sostanziata nella comune volontà di evitare, pur nella differenziazione dei ruoli, contraddizioni stridenti tra l’Organo di primo grado e quello di secondo grado. Ma se differenti valutazioni possono essere comprensibili proprio per la diversità del grado e per l’autonomia stessa degli Ordini regionali nei confronti dell’Ordine Nazionale, quello che era inconcepibile era il cosiddetto vestito di Arlecchino degli Ordini regionali. Non era possibile, pur rispettando l’autonomia di ciascun Consiglio Regionale per la giurisprudenza ordinistica, che ci fossero valutazioni decisamente contraddittorie anche rispetto a tematiche lungamente sviscerate dalla Consulta dei Presidenti. Per questo essere riusciti (grazie ad alcuni ordini, tra i quali il nostro) a trovare una linea comune d’intesa su questioni legate alle iscrizioni, ai procedimenti disciplinari, alle sanzioni, alle procedure di morosità, non è cosa di poco conto. Non a caso abbiamo parlato di sanzioni e di giurisprudenza ordinistica perché mai come in questi anni, ribadisco nel rispetto delle diverse funzioni, è stata registrata una corrispondenza di valutazioni tra l’operato del Consiglio Regionale e quello del Consiglio Nazionale. In tale ottica va citata la vicenda che ha visto coinvolta la nostra collega Antonella Inciso che, per il solo fatto di aver esercitato il diritto di cronaca, si è vista al centro del fuoco incrociato di esposti che hanno prodotto addirittura, dopo il pronunciamento del Consiglio dell’Ordine della Basilicata, ricorsi da parte dei Procuratori Generali di Bari e di Potenza. Ebbene la nostra decisione di archiviare l’esposto che riguardava la vicenda giudiziaria sul fallimento della Società SOGECO ha trovato piena rispondenza nella delibera di archiviazione da parte del Consiglio Nazionale dei ricorsi degli alti Magistrati. Il Consiglio Nazionale ha infatti condiviso il fondamento da noi espresso secondo il quale se un giornalista cita il nome di una persona nell’ambito di un atto giudiziario depositato senza avvertire il soggetto esercita pienamente il diritto di cronaca. Infatti, in base all’Art. 12 della Legge 675 del 1996, quella sulla privacy, è prevista l’esclusione del consenso, anzi meglio il consenso non è richiesto quando il trattamento è effettuato nell’esercizio della professione di giornalista e per l’esclusivo perseguimento delle relative finalità. Il caso della Inciso lo abbiamo citato perché è un caso di scuola che dimostra come non sia sufficiente esercitare correttamente il diritto di cronaca per non essere raggiunto da un esposto.
È chiaro che tale vicenda come altre che fanno riferimento a ipotesi di reato di rivelazioni di segreto d’ufficio o di segreto istruttorio richiamano l’esigenza da parte dei giornalisti di una forte formazione e da parte di altri soggetti il rispetto della professione e del segreto ad essa connesso in riferimento particolare alla tutela delle fonti.
Noi giornalisti lucani non vogliamo essere i vasi di coccio in mezzo ai vasi di ferro e non possiamo e vogliamo diventare le vittime di meccanismi perversi che si ritorcono proprio su coloro che fanno informazione. Non a caso qualche tempo fa, durante una iniziativa promossa dal Co.Re.Com., sulla privacy e sulle intercettazioni telefoniche, ho avuto l’impressione che si scaricasse con una certa disinvoltura tutta la responsabilità sui mass-media accusati di pubblicare, per logiche di scoop, anche parti di telefonate intercettate che facevano riferimento alla vita privata di cittadini senza distinguere i contenuti attinenti ad inchieste giudiziarie da quelli riferiti a persone o fatti disgiunti dalla rilevanza penale. È vero che talvolta ci facciamo prendere dalla libidine dello scoop e dalla "guerra alla concorrenza", ma per amor di verità dobbiamo ricordare che la categoria è da anni al centro di un processo di maturazione e che ha avuto il coraggio di darsi codici di autoregolamentazione che applica e che altri non hanno o non hanno voluto darsi. E poi, se le intercettazioni sia telefoniche che ambientali vengono pubblicate dai giornali, consentitemelo, c’è qualcuno che si premura di offrire ai giornalisti atti anche coperti da segreto.
Certo, tocca poi ai giornalisti discernere quello che va pubblicato e quello che va omesso in rispetto al diritto alla riservatezza, ma nessuno può permettersi di dare lezioni su comportamenti che investono una sfera più ampia, direi anche interessi più ampi, e che spesso si ritorcono unicamente, tornando ai vasi di coccio, sugli operatori dell’informazione, in primis i cronisti giudiziari raggiunti, come accade sempre più frequentemente e, ne abbiamo parlato prima, da avvisi di garanzia per fuga di notizie. Il nostro rapporto con il mondo giudiziario è improntato al reciproco rispetto e soprattutto al rispetto di ruoli e competenze, senza pericolose interferenze che non appartengono al nostro senso di responsabilità e al nostro patrimonio culturale e professionale. E quanto più questo patrimonio culturale e professionale, permettetemi se insisto, è forte tanto più non diventeremo oggetto di facile strumentalizzazioni per fini che non sono quelli della corretta informazione. Quest’anno eviterò di elencare tutte le realtà informative della regione. Basta guardare il depliant del Convegno di ieri a Scanzano per rendersi conto che siamo molti e che all’accresciuto numero di organi d’informazione corrisponde una varietà di figure professionali, dai giornalisti sia radiotelevisivi che della carta stampata, ai redattori, ai telecineoperatori, ai fotoreporter, ai giornalisti on-line, ai grafici. Dal punto di vista delle riunioni del Consiglio, come noterete, sono state numerose. Segno anche questo di un lavoro intenso fatto di audizioni, di approfondimenti, di confronto anche vivace ma improntato alla difesa dell’immagine e del ruolo dell’Ordine. Un Ordine che non si è chiuso su sé stesso ma che, fatte salve le prerogative di legge, si è configurato come soggetto della vita sociale e comunitaria della Basilicata, interlocutore accreditato e attendibile, elemento non secondario di quella rete di istituzioni, enti ed associazioni, che ha come obiettivo quello di contribuire ad un progetto di sviluppo della società lucana. Ecco perché abbiamo detto la nostra nella battaglia di civiltà per la liberazione di Stefano Surace, il giornalista settantenne tornato in Italia dalla Francia, dove risiedeva e arrestato per vecchie condanne legate al reato di diffamazione a mezzo stampa. Ecco perché abbiamo espresso posizioni coraggiose rispetto allo scooppismo, e alla superficialità con cui sono stati trattati talvolta temi delicati o vicende di cronaca che hanno avuto protagonisti minori o soggetti deboli.
La costituzione dell’Osservatorio della comunicazione sui minori e sui soggetti deboli voluta dal Co.Re.Com. e dall’Ordine dei Giornalisti va proprio in quest’ottica come va in quest’ottica la nostra partecipazione ad iniziative di respiro regionale e nazionale sulla giustizia minorile, sul rapporto tra handicap e informazione, sulla tratta delle bianche, sul problema dell’usura, sul rapporto tra salute e informazione. Proprio su questo tema, nonostante l’apertura di un terreno di confronto con l’Ordine dei Medici per tentare di siglare un protocollo finalizzato a rendere proficuo il rapporto tra informazione e salute nell’interesse primario del cittadino, continuano a verificarsi episodi che confermano l’esigenza di un confronto informativo-formativo tra medici e giornalisti in modo da definire il limite che esiste tra privacy e diritto all’informazione. Spesso il diritto all’informazione non viene assolutamente rispettato e viene contrabbandato per mancato rispetto della privacy. Così come è accaduto qualche giorno fa quando un giornalista si è rivolto al Pronto Soccorso dell’Ospedale San Carlo ottenendo un fermo e immotivato diniego dinanzi ad una legittima richiesta di informazione su una vicenda di pubblico interesse.
Formarsi, e ritorniamo al problema di fondo, spetta a tutti.
Noi vogliamo riconoscere i nostri errori ma vogliamo nel contempo si riconosca la rilevanza sociale di una professione che spesso viene a torto bistrattata.
Per quanto poi riguarda l’attività interna, anche in sintonia con l’impegno preso lo scorso anno, la Commissione per la Revisione dell’Albo presieduto dal nostro Vice Presidente Nicola Buccolo e composta dai Consigliere Alfredo Di Giovampaolo e Gianluigi Laguardia ha concluso i suoi lavori presentando una relazione conclusiva dalla quale emerge che la maggior parte degli iscritti ai quali è stato inviato il questionario possiede tuttora i requisiti per la permanenza negli Elenchi dell’Albo dell’Ordine dei Giornalisti della Basilicata.
Inoltre, sempre dalla relazione, adottata dal Consiglio si considera l’esigenza di non cancellare i Pubblicisti che svolgono lavoro saltuario, con retribuzioni precarie e coloro che per motivi contingenti, non dipendenti dalla loro volontà, si trovano momentaneamente nella condizione di non svolgere attività giornalistica ed hanno espresso la volontà di continuare ad essere iscritti nell’Elenco dei Pubblicisti. Come vedete le preoccupazioni di chi pensava che la revisione dell’Albo si trasformasse in una sorta di decapitazione di colleghi sono state del tutto fugate.
Infatti, la Commissione, sulla scorta di quanto avviene in tutti gli Ordini Regionali, ha fatto presente che la revisione più attendibile è quella che si attua ogni anno con il versamento della quota d’iscrizione. Il versamento della quota d’iscrizione è infatti il solo atto che manifesta la volontà di permanenza dell’iscritto nell’Ordine. Il che significa che nel caso di morosità consolidata, ove non ci sia l’intendimento (nonostante sollecito dell’Ordine) di saldare le quote va avviato procedimento disciplinare il cui iter può concludersi anche con la radiazione.
Entro la fine di maggio andremo al rinnovo del Consiglio dell’Ordine con la consapevolezza che qualsiasi organismo verrà eletto non potrà che tener conto di queste indicazioni che sono, e il Vice Presidente lo sa, in sintonia con il deliberato della Consulta Nazionale dei Presidenti dei Consigli Regionali. Un segno anche questo di una collegialità che forse mai prima d’ora si era registrata in sede di rapporto tra l’Esecutivo Nazionale dell’Ordine e i Consigli Regionali. E il nostro Consiglio, con la sua vivacità, la sua dialettica ma soprattutto con la volontà di confrontarsi è stato luogo di dibattito e di analisi, diventando momento di elaborazione di giurisprudenza ordinistica come riportato anche da recenti pubblicazioni in materia.
Per questo non posso non ringraziare tutti i componenti del Consiglio dell’Ordine dal Vice Presidente Nicola Buccolo, al Segretario Cinzia Grenci, al Tesoriere Alfredo Di Giovampaolo, ai Consiglieri Renato Cantore, Beatrice Volpe, Emilio Oliva, Gianluigi Laguardia, Michele Rizzo, ai Revisori dei Conti Mario Rivelli, Franco Toritto e Michele Giordano, il cui fattivo contributo è stato davvero rilevante. Altrettanto rilevante è stato poi il contributo dei Consiglieri Nazionali Pino Anzalone, Rocco Brancati e Luigi Scaglione e dei colleghi che hanno svolto il ruolo di commissari d’esame alla prova di idoneità professionale. Mi riferisco a Franco Corrado, a Mimmo Sammartino, a Franco Sernia e a Rino Cardone.
Non vi nascondo che abbiamo dovuto superare una serie di problemi di ordine organizzativo e gestionale. Ci siamo riusciti grazie alla collaborazione della nostra instancabile Katia che, come sentirete anche nella Relazione del Tesoriere, è riuscita a portare a termine, tra l’altro, a nostro favore una difficile trattativa con l’Ufficio Tributi del Comune di Potenza relativa ad una antica querelle sul pagamento della tassa dei rifiuti. Un ringraziamento particolare, permettetemelo, va al collega Francesco Faggella che, con la sua consueta disponibilità e senza clamore, ha realizzato il nostro sito e ne segue costantemente l’aggiornamento. Un ringraziamento a Voi tutti che, con suggerimenti, critiche e proposte, avete supportato il nostro lavoro dandoci quello stimolo in più che oggi ci permette di guardare ad un futuro migliore per un organismo che ha bisogno di una riforma per continuare ad essere il punto di riferimento vero della professione.
Una professione che non è una religione e neppure una scienza, chissà forse un’arte, arte della comunicazione. Ma comunque sicuramente un mestiere che nasce dall’onestà intellettuale di ciascun operatore dell’informazione.
"Il giornalismo libero – diceva Montanelli – non esiste; esistono i giornalisti liberi".
Come a dire che la stampa libera è una bella utopia, ma la realtà è che l’indipendenza può garantirla solo il giornalista come persona, l’individuo che con la forza della sua coscienza, e logicamente della sua professione, cerca di applicare le regole basilari, ovvero quelle che Federico Guiglia chiama etiche del giornalismo. Ad esse non possiamo che far riferimento se crediamo alla conoscenza come possibilità per portare a termine quel percorso di crescita professionale che si configura come volontà di sapere e di apprendere per trasmettere agli altri notizie. Solo con la conoscenza e con le regole basilari, cioè le etiche del giornalismo, si combatte il cinismo e il pressappochismo.